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Newsletter N°26

Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei

(Iscrizione sul tempio di Delfi)       

 

Leadership: guidare se stessi per guidare gli altri

Guidare le persone significa influire su di loro per orientarle ad una meta. Ma è la capacità di dirigere se stessi che costituisce il presupposto fondamentale per guidare gli altri, la via maestra per formare una personalità da leader, suscitare credibilità e guadagnare consenso.

Il punto di partenza è la percezione e la conoscenza di sé: lo sviluppo della leadership va di pari passo con lo sviluppo della propria consapevolezza, che nasce e si accresce sul piano spirituale.

Per descrivere questo percorso gli antichi greci avevano coniato una definizione perfetta: ascesi. San Benedetto è andato oltre, utilizzando il termine sapiens per indicare colui che, riconciliato con se stesso e con il proprio vissuto, trasmette attorno a sé  quel “gusto gradevole” che conquista e coinvolge nei propri obiettivi le persone con le quali entra in relazione.

Chi ha il compito di guidare gli altri deve esser capace di “sanare le proprie ferite e quelle altrui” (Regola 46,6):  la capacità di trattare in modo efficace i propri difetti costituisce il presupposto indispensabile per riconoscere e sanare quelli altrui. Questa regola non vale solo per le comunità religiose, ma anche per tutti coloro che hanno ruoli manageriali all’interno di aziende o imprese, perché consente di affrontare in modo accorto e delicato i problemi più spinosi, dando capacità e autorevolezza per rapportarsi correttamente con i dipendenti, sia i più forti che i più deboli.

Tre elementi costituiscono il primo gradino per acquisire la padronanza di sé e la capacità di guida: innanzitutto una corretta comunicazione, sia nell’aspetto contenutistico che in quello relazionale; tenendo conto che spesso il secondo determina il primo che, se risulta turbato da emozioni forti, come collera o ira,  vanifica la comunicazione sul piano dei contenuti.

Poi la pratica dell’ ascolto: la Regola di san Benedetto inizia proprio con questa esortazione: “ausculta”. Ed è noto che la capacità di ascoltare con attenzione è essenziale per comprendere le cose nel profondo; essa caratterizza i dirigenti di successo.

Infine la capacità di sapersi imporre  obiettivi concreti e precisi. Sono questi i cartelli segnaletici che indicano la strada per la meta: un dirigente che fa egli stesso questa esperienza sarà in grado di trasmetterla con efficacia ai propri collaboratori, diventando per loro un modello da seguire. 

Ecco alcuni consigli pratici su come devono essere questi obiettivi:

  1. concreti: non formulazioni generiche (“vorrei fare di più..”), ma chiari e descrittivi (“farò quella cosa, in quel modo, tre volte alla settimana”).
  2. misurabili: se così non fosse non potremmo stabilire se e quando lo scopo viene raggiunto.
  3. formulati al positivo: ciò che va conseguito, e non ciò che va evitato, incentiva il nostro subconscio ad impegnarsi per la realizzazione.
  4. ambiziosi:più lo  scopo è importante e più vale la pena applicarsi.
  5. realistici: l’obiettivo deve essere ambizioso, ma non irrealizzabile; la mission impossible è affascinante, ma giustifica il non raggiungimento dello scopo.
  6. messi per iscritto: una formulazione precisa, riletta ogni giorno, aiuta a rinnovare l’impegno e a verificare i progressi.
  7. iniziare entro le 24 ore: appena hai deciso, parti; l’entusiasmo iniziale moltiplica le energie ed evita la stasi e i ripensamenti.
  8. perseverare 28 giorni: dopo questo periodo si instaura un’abitudine e si innesca un automatismo, quindi viene meno la volontà. E’ comunque  il momento di tirare le somme per destinare le forze a obiettivi nuovi e gratificanti.

In conclusione: elenco breve e preciso degli obiettivi, sia quelli concreti che quelli legati al proprio comportamento; consapevolezza che l’impegno per il loro raggiungimento modifica il modo di vivere e  rende artefici del cambiamento. Anche se in questa realizzazione si corrono rischi e commettono errori, si sperimentano insuccessi e ci si scontra con la critica e la resistenza degli altri.

Questo è il percorso che consente a ciascuno di passare da comprimario a interprete principale, diventando protagonista del proprio destino.

Come insegna Stephen R. Covey (Le sette regole per avere successo), sono i successi privati che costituiscono l’essenza dello sviluppo del carattere e precedono i successi pubblici. “Non si può invertire il processo che parte dell’interno per rivolgersi all’esterno: Inside-Out”. Soltanto dopo il passaggio dalla dipendenza all’indipendenza, descritto da Covey nelle prime tre regole, si può costruire un’efficace interdipendenza per lavorare in modo incisivo sui “successi pubblici”, attraverso il percorso indicato nelle tre regole successive.

Ma delle Sette regole di Covey per sviluppare l’efficacia avremo modo di trattare in seguito.

 (Nota: queste brevi riflessioni sono anche  un invito alla lettura del bel testo agile e penetrante dal quale sono tratte,  scritto da un monaco benedettino e da un esperto di economia e consulenza aziendale: A. Grun - F. Asslander, Lavoro e preghiera, Gribaudi ed.)

 

 

 

Fondazione Enzo Peserico

 

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