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Newsletter n° 21

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Cari amici,

la Fondazione Enzo Peserico tra i suoi scopi ha innanzitutto quello di diffondere la memoria, l’esempio, le opere e la testimonianza di Enzo, nella vita familiare, nella professione e nel mondo del lavoro, nelle attività sociali, apostoliche e formative. Abbiamo di recente concentrato gli sforzi della Fondazione nell’approfondimento di tematiche relative al mondo del lavoro e dell’economia in generale, nello spirito dell’impegno professionale che Enzo Peserico ha sempre orientato, nel campo del diritto del lavoro, alla luce dei principi della dottrina sociale della Chiesa. Ma ci sono altre realtà costruite da Enzo Peserico, che continuano ad esistere ed anzi crescono e si fortificano: il testimone è passato ad altri, che nel ricordo di Enzo proseguono il lavoro. Cercheremo di presentarvele brevemente, affinché attraverso queste testimonianze possiate conoscere meglio quell’eredità che Enzo ci ha lasciato.

Cominciamo dalla “Comunità di destino”: un gruppo di giovani, dai 14 ai 22 anni circa, con i quali Enzo aveva avviato un percorso di amicizia e formazione. Oggi la CD continua il suo percorso, sotto la guida e il coordinamento di Andrea. Lo abbiamo intervistato, per farci raccontare questa esperienza. In una newsletter successiva, intervisteremo i ragazzi della CD.

Andrea, puoi raccontarci brevemente quanti sono questi ragazzi, e dove vi trovate e con quale periodicità?

Il gruppo ha quella che potremmo arditamente definire una “formazione ad assetto variabile” nel senso che accanto ad un nucleo piuttosto consistente di fedelissimi vi è anche chi va e viene in modo più discontinuo. Diciamo che ordinariamente partecipano agli incontri quindicinali circa 25/30 ragazzi, prevalentemente liceali oltre a qualche universitario. Ci troviamo a casa di Enzo e Sabrina e non poteva essere diversamente. La CD è un’idea di Enzo e si è sviluppata a casa sua, grazie al clima familiare ed amicale che lui ha saputo creare. La nuova casa, nella quale Sabrina e i suoi figli si sono trasferiti dopo la morte di Enzo (e che, quindi, Enzo non ha mai abitato) è stata pensata da Enzo affinché fosse la più accogliente possibile in vista di questi incontri. Ha progettato un ampio salone e tutto è estremamente funzionale. E’ come se Enzo abbia passato letteralmente il testimone non solo del gruppo in sé, ma anche della sua location naturale, la sua casa. Sabrina ha subito chiesto che la CD proseguisse e che lo si facesse nella sua casa. Credo che sia un modo, molto bello e se vogliamo commovente, di sentire maggiormente la vicinanza di Enzo e di vederne concretamente realizzato un progetto a cui teneva tantissimo.

Perché al gruppo è stato dato il nome “Comunità di destino”?

Il “pensatore contadino” francese Gustave Thibon dedica al concetto di Comunità di Destino un mirabile saggio pubblicato nel 1969 nel quale la definisce “principio vitale delle società”. Si tratta, in estrema sintesi, di quella comunanza di vita, di valori e di interessi concreti che caratterizza le comunità (soprattutto le più circoscritte, anche geograficamente) e che crea vincoli di solidarietà, di interdipendenza, di coesione grazie ai quali una comunità si rafforza e si sviluppa. Thibon cita alcuni esempi: l’equipaggio di una nave, gli abitanti di un villaggio, i soldati in una trincea. In tutte queste circostanze vi sono persone con ruoli e responsabilità anche molto diversi, ma che tuttavia condividono una serie di interessi concreti e fondamentali che determinano vincoli di “squadra” assai forti.
Gli esempi più significativi, sul piano dei valori, sono quelli della famiglia e della Chiesa, entrambi archetipi di una autentica e profonda “Comunità di Destino”.
Non sorprende, quindi, che Enzo abbia voluto dare il nome di “Comunità di Destino” al folto gruppo di ragazzi che ha saputo riunire con sapienza e carisma da vero pedagogo in casa sua per incontri formativi e momenti conviviali.

Quale programma stava svolgendo il gruppo, quando hai raccolto il testimone? Come si svolgevano gli incontri?

Innanzitutto due parole su come è strutturato un incontro della CD. I ragazzi si trovano verso le 19 e si inizia con la recita del Santo Rosario (normalmente in lingua latina, la lingua della Chiesa) guidata dai ragazzi stessi. Dopo la preghiera c’è la cena: una sorta di buffet a base di pizza, panini e torte. Verso le 20,30 inizia la riunione vera e propria che finisce sempre prima delle 22, per dare modo a tutti di rientrare a casa in un orario tranquillo.
Passando ai contenuti, quando sono arrivato io il gruppo stava svolgendo un bellissimo lavoro di lettura e di analisi delle Lettere di Berlicche, il piccolo capolavoro di C.S. Lewis, attraverso una modalità interattiva che prevedeva la lettura pubblica di una “Lettera”, il suo approfondimento da parte dei ragazzi suddivisi in piccoli gruppi, il resoconto sui contenuti della discussione fatta da un rappresentante di ciascun gruppo e le conclusioni generali fatte dal coordinatore della CD. Questa metodologia è stata molto apprezzata perché ha permesso il coinvolgimento di tutti, anche dei più giovani o dei più timidi.

Completata la lettura delle “Lettere di Berlicche”, quali argomenti affrontate ora? Quale obiettivo vuoi raggiungere?

Dopo avere terminato il libro di Lewis, abbiamo iniziato una serie di incontri monotematici legati alla esortazione della prima lettera di san Pietro: «Pronti sempre a rispondere a chi vi domanda ragione della speranza che è in voi». In pratica, in ogni incontro viene affrontato un argomento “forte”, un tema delicato e/o controverso che attiene alla formazione dei ragazzi, alla loro capacità di affrontare le obiezioni dei coetanei o comunque dei loro interlocutori “esterni”. I temi sono i più disparati e li affrontiamo o direttamente (nel senso che preparo io l’argomento che poi viene approfondito e discusso insieme) oppure grazie alla presenza di ospiti che ci aiutano a trattare temi complessi. Tanto per fare qualche esempio, abbiamo affrontato, tra gli altri, questi argomenti: Omosessualità ed identità di genere, Lewis e Tolkien ed il significato profondo delle loro opere di fantasia, le Crociate e l’Inquisizione, la credibilità storica dei Vangeli, la persecuzione anticattolica in Ucraina (raccontata da un sacerdote ucraino diretto testimone dei fatti), Darwin e l’evoluzionismo.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di acquisire gli strumenti fondamentali per poter innanzitutto comprendere noi stessi, il senso ultimo dell’esistenza e la verità sull’uomo insita nell’incontro con Gesù Cristo e successivamente per poter diventare testimoni credibili di questa verità in tutte le circostanze della nostra vita.

Pensi che questa esperienza possa essere imitata? Quali consigli daresti a chi volesse costruire una realtà analoga?

Certamente può essere imitata. In fin dei conti non si tratta di nulla di particolarmente innovativo: non abbiamo brevettato un nuovo metodo di approccio ai grandi temi della vita né abbiamo fondato una nuova corrente pedagogica. Se proprio dovessi dare dei consigli mi limiterei a sottolineare la straordinaria efficacia dell’ambiente domestico, informale, che mette i ragazzi a proprio agio e consente di passare una serata in amicizia in modo rilassato (con misura, però). Oltre a ciò, sono importanti almeno altri due ingredienti: il desiderio di creare un gruppo per amore della verità e dei ragazzi che lo frequentano e la scelta dei temi da affrontare, che devono essere interessanti e trattati in modo sintetico ma sufficientemente chiaro ed esaustivo.

Scusa la domanda molto personale, ma quali sono stati i tuoi pensieri quando hai ricevuto questo incarico, poche settimane dopo la morte di Enzo?

Posso rispondere riprendendo le parole che ho avuto modo di scrivere, in un breve ricordo di Enzo pubblicato sul giornalino della CD “Cuore d’Europa”: «Quando sono arrivato davanti alla Parrocchia di San Gioachimo per il funerale del mio amico, ho visto una grande corona floreale che riportava la scritta “La tua comunità di destino”. Era un omaggio spontaneo e commovente che ho apprezzato moltissimo e non avrei mai pensato, in quelle ore così angoscianti, che questa perla preziosa coltivata da Enzo con una attenzione straordinaria sarebbe poi stata affidata a me.
In fin dei conti, potrei pensare che si tratti di uno dei tanti doni che ho ricevuto da Enzo nei trent’anni in cui ci siamo frequentati. Ma questo è un dono particolarmente grande e prezioso perché non si tratta di un oggetto, per quanto bello e importante, si tratta di ragazzi che hanno fame di amicizia profonda e di strumenti per affrontare la vita con maggiore consapevolezza e una buona dosa di “anticorpi” (quali il buon senso, l’uso di ragione, i principi naturali e cristiani che danno gusto e significato all’esistenza).
Si tratta, in tutto e per tutto, di una vera e propria “Comunità di Destino”, una comunanza di valori e di scelte di vita, una gerarchia di priorità condivise. Una preziosa eredità che genera frutti».

 

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