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Una sfida globale. Crisi economica e sradicamento della povertà

Pubblichiamo un articolo di Gordon Brown da L’Osservatore Romano del 19 febbraio 2009.

Da Rio a Roma e da Lagos a Londra ci troviamo di fronte a una delle più grandi sfide economiche della nostra generazione. In quella che sarà probabilmente definita dagli storici come la prima crisi economica di livello davvero mondiale, le previsioni di crescita per il 2009 sono state ritoccate in quanto vicine allo zero, c’è un crollo del commercio e dei flussi di capitale e si sta estendendo la disoccupazione.

La crisi finanziaria ed economica minaccia l’occupazione e le prospettive delle famiglie di ogni paese e di ogni continente. In tutta Europa, migliaia di persone si trovano improvvisamente senza lavoro e sono sempre più preoccupate per il proprio futuro. Ma si tratta di tendenze internazionali, che hanno impatto anche sui più poveri in Africa, Asia e altrove. Qui la crisi economica significherà fame per altri milioni di persone, meno istruzione e meno servizi sanitari. So che la Chiesa cattolica e il Santo Padre condividono queste preoccupazioni. I paesi più poveri vedono che ogni fonte di finanziamento del proprio sviluppo - esportazioni e domanda di derrate alimentari, commercio e project finance, aiuti, rimesse, flussi di capitale - è stata colpita dalla dimensione e dall’estensione senza precedenti di questa crisi.

Nel Regno Unito stiamo usando ogni mezzo a nostra disposizione perché la recessione sia per quanto possibile breve e poco profonda. Ma la recessione globale richiede una risposta globale, se vogliamo che le nostre misure abbiano successo. Il 2 aprile prossimo il G20 - cioè la riunione dei leader dei paesi più grandi e più ricchi del mondo, che rappresentano oltre i due terzi della popolazione mondiale e il 90 per cento dell’economia globale - si riunirà a Londra per discutere questa risposta.

Riuscirci è di vitale importanza. Altrimenti, la recessione sarà più profonda, più lunga e colpirà un numero maggiore di persone. Se non risolveremo gli effetti della crisi, la Banca Mondiale stima che da oggi al 2015 nel mondo in via di sviluppo altri 2,8 milioni di bambini potrebbero morire prima di aver compiuto cinque anni. È come se l’intera popolazione di Roma morisse nei prossimi cinque anni.

Non ci potrebbero quindi essere ragioni morali più valide di queste. Ma non si tratta più solo di ragioni morali. Questa crisi ci ha dimostrato che non possiamo permettere che i problemi si aggravino in un paese, poiché di riflesso il loro impatto sarà avvertito da tutti. È dunque nostro dovere comune far sì che le esigenze dei paesi più poveri non siano un pensiero secondario, a cui si aderisce per obbligo morale o per senso di colpa. È ora di vedere i paesi in via di sviluppo inseriti nelle soluzioni internazionali di cui abbiamo bisogno. Ed è fondamentale che queste soluzioni internazionali tengano conto dei paesi in via di sviluppo.

La nostra risposta globale deve perciò in primo luogo prevedere finanziamenti maggiori, migliori e più rapidi da parte delle istituzioni finanziarie internazionali, che possano contribuire a salvaguardare gli investimenti nella sanità e nell’istruzione e a stimolare le economie. Uno stimolo internazionale funzionerà soltanto se avrà davvero carattere globale. Per troppo tempo solo i paesi ricchi sono stati in grado di introdurre capitali nelle proprie economie nei periodi difficili. Questa volta deve essere diverso.

Ho già avviato colloqui con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e altri organismi per elaborare proposte che, se accolte dal G20, potrebbero immettere miliardi di dollari nelle economie dei paesi in via di sviluppo. Come secondo punto, sono necessarie riforme delle istituzioni finanziarie internazionali per dare più voce al mondo in via di sviluppo, rendendo le istituzioni più efficaci, legittime e sensibili. E come terzo punto, occorre trovare le vie per mobilitare le risorse a salvaguardia dei più poveri, come il Global Vulnerability Fund, che può essere mirato in modo specifico ai più poveri e più vulnerabili.

Per i cambiamenti climatici, inoltre, dobbiamo fare in modo che la crisi dell’economia non ci distolga dal far fronte a quella del clima. Dobbiamo cogliere il momento per garantire investimenti nelle industrie verdi che ci preparino per il futuro, invece di mettere a repentaglio le generazioni che verranno.

Dobbiamo inoltre cercare di mettere in moto il commercio internazionale. Sappiamo che rifugiarci nel protezionismo ci renderà tutti più poveri, ma questo è anche un momento di opportunità. Se sapremo sfruttare lo slancio politico per concludere l’accordo di Doha sul commercio, si valuta che l’economia mondiale potrebbe beneficiarne per 150 miliardi di dollari. La Santa Sede ha sostenuto con forza un accordo commerciale favorevole ai poveri, e io spero che questa voce sia finalmente ascoltata.

Come politico so che quando le religioni mobilitano le proprie risorse, ne viene vivamente avvertito l’impatto. Abbiamo appena assistito al ruolo preminente delle religioni nell’ambito della più larga alleanza formatasi per sostenere gli obiettivi di sviluppo del millennio nell’evento di alto livello dello scorso settembre a New York.

Valori religiosi, come la giustizia e la solidarietà - valori che affermano che i bambini poveri, come quelli ricchi, devono avere accesso a vaccini e medicinali - hanno portato Regno Unito e Santa Sede a sostenere insieme l’International Finance Facility for Immunisation e gli Advanced Market Commitment. L’acquisto da parte del papa nel 2006 del primo bond per l’immunizzazione è stato espressione tangibile dell’impegno comune di Santa Sede e Regno Unito a favore dello sviluppo internazionale. Grazie a questo bond, sono stati raccolti oltre un miliardo e seicento milioni di dollari, e 500 milioni di bambini saranno immunizzati fra il 2006 e il 2015 - portando a cinque milioni i bambini salvati.

Lo scorso 18 giugno papa Benedetto ha sollecitato attraverso il suo segretario di Stato una “risposta efficace alle crisi economiche che affliggono diverse regioni del pianeta” e l’attuazione di “un piano d’azione internazionale concertato volto a liberare il mondo dalla povertà estrema”. Io sostengo questo appello. Il vertice di Londra ad aprile deve vederci rispondere alla sfida.

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