Home » Le Attività » Anno 2009 » Discorso introduttivo del Presidente alla serata a tema del 17 novembre
invia a un amico   stampa la pagina

Discorso introduttivo del Presidente alla serata a tema del 17 novembre

ETICA, IMPRESA & MANAGEMENT

Una riflessione alla luce della “Caritas in veritate”

Happy Hour a tema presso il VICTORY MILANO Lounge Bar

Buonasera a tutti.

Introduco brevemente questa chiacchierata con Claudio Pasini, presidente di Manageritalia. Lo ringraziamo innanzitutto di aver accettato l’invito che gli abbiamo fatto a settembre, dopo aver letto il suo editoriale sul numero estivo del giornale di Manageritalia, “Il Dirigente”. Abbiamo apprezzato il suo commento sul rapporto tra capitalismo, lavoro ed etica, alla luce dell’enciclica Caritas in Veritate: l’editoriale si concludeva poi con un chiaro invito ai dirigenti, ma anche agli imprenditori, di utilizzare il periodo estivo per leggere l’enciclica e trarne utili elementi di riflessione.
A noi che ci impegniamo a vivere e testimoniare l’importanza e i contenuti della dottrina sociale della Chiesa ha fatto molto piacere che il presidente di un’associazione sindacale suggerisse la lettura di un documento  pontificio che pone “l’interscambio tra verità e carità” come principio di organizzazione sociale (vedi La novità della “Caritas in Veritatedi Pierpaolo Donati).

Mi permetto una brevissima riflessione prima di cedere la parola a intervistatore e intervistato.
La Caritas in Veritate ribadisce l’importanza del ruolo della dottrina sociale della Chiesa, branca della teologia  morale finalizzata, come ci ha insegnato il servo di Dio Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis (1988), a leggere e interpretare le realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione cristiana. Suo scopo è dunque interpretare tali realtà e orientare la condotta delle persone, sia sul piano dell’agire sociale che su quello deliberativo delle coscienze. Le due vie conoscitive della dottrina sociale sono la ragione e la fede perché le fonti alle quali attinge sono la Rivelazione e la natura umana.
Ricordiamo che i principi base della dottrina sociale sono:

1) il principio personalista

cioè il concetto di persona alla luce dell’antropologia naturale cristiana. La persona umana è essere unico e irripetibile capace di intelligenza ed autodeterminazione.
L’uomo non è un oggetto e un elemento passivo della vita sociale, ma il soggetto, il fondamento e il fine della vita sociale. È infatti la natura ontologicamente sociale e relazionale dell’uomo che dà origine alla società nelle sue molteplici espressioni (famiglia, comunità civile, politica, associazionismo). La relazionalità della natura umana è segno e immagine di quella trinitaria, a immagine della quale, che ci piaccia o no, l’uomo è stato creato.

2) il bene comune

Questo è inteso come l’insieme delle condizioni della vita sociale che permettono sia alla collettività che ai suoi singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e celermente. Esso non consiste nella somma dei beni individuali di ciascun soggetto, ma è il bene di tutti e di ciascuno: è difficile da raggiungere perché richiede la ricerca del bene altrui come se fosse il proprio. Poiché scopo della vita sociale è l’uomo, il bene comune ha valore solo se realizza i fini ultimi della persona. Alla luce del bene comune dobbiamo leggere il principio della destinazione universale dei beni, che è alla base del diritto universale dell’uso dei beni, e del diritto di proprietà privata

3) principio di sussidiarietà

Tutte le società di ordine superiore debbono mettersi in atteggiamento di aiuto (subsidium) - quindi sostegno, promozione,sviluppo - rispetto a quelle minori.

Ci dice la Caritas in Veritate (n. 57) che la sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona attraverso l’autonomia dei corpi intermedi, che raggiunge scopi di emancipazione perché favorisce la libertà e partecipazione in quanto assunzione di responsabilità (ricordiamo che la responsabilità è infatti la risposta della persona che ha la competenza e la capacità di fare qualcosa, il responsum abilis), e che rispetta la persona, nella quale vede un soggetto capace di fare qualcosa per gli altri. Infine è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista (che vede invece nella persona un soggetto da assistere).

4) principio di solidarietà

Il principio di solidarietà, o di amicizia (come lo chiama Leone XIII), o di carità sociale (secondo l’espressione di Pio XI), o civiltà dell’amore (espressione di Paolo VI), esprime l’esigenza di riconoscere nei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro lo spazio offerto alla libertà umana per provvedere al bene comune: questo e’ il sentirsi tutti responsabili di tutti (Caritas in Veritate, n. 38). Nell’epoca della globalizzazione l’attività economica non può prescindere dalla gratuità che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune.
Benedetto XVI definisce la dottrina sociale come caritas in veritate in re sociali, annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società. ‹‹Lo sviluppo, il benessere sociale, un’adeguata soluzione dei gravi problemi socio economici che affliggono l’umanità [..] hanno bisogno che tale verità sia amata e testimoniata. Senza verità … non c’è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più una società in via di globalizzazione.›› (Caritas in veritate, n. 5)

La dottrina sociale ha una compito determinante nell’interazione dei diversi livelli del sapere umano, “un’importante funzione interdisciplinare” (Caritas in veritate n° 31) tra scienze umane e metafisica, tra fede e ragione,   indispensabili elementi per lo sviluppo umano integrale e, come ricordava lo stesso Benedetto XVI  nel Discorso all’Università di Regensburg del 12 settembre 2006, per l’allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa, e, di conseguenza, assumono anche un ruolo fondamentale per la risoluzione dei problemi socio-economici.
Questi non sono concetti nuovi nel magistero papale, ma si inseriscono in una tradizione che parte da Paolo VI, che nella Populorum progressio indicava tra le cause del sottosviluppo una mancanza di sapienza, di riflessione, e di pensiero capace di operare una sintesi orientativa, fino al già citato Servo di Dio Giovanni Paolo II che nella Fides et Ratio denunciava l’eccessiva settorialità del sapere e il dominio della ragione tecnocratica, ovvero di quella ragione tecnica che non tiene conto dei valori.  Insomma, “Il fare è cieco senza il sapere, e il sapere è sterile senza l’amore.” (Caritas in veritate n° 30).

L’osservazione, il dato empirico, ci dice che “i costi umani sono sempre anche costi economici“. (Caritas in veritate n° 32)  La stessa scienza economica ci dice che un lavoratore in situazione di strutturale precarietà lavorativa non libera creatività e si adatta passivamente ai meccanismi automatici e di spreco di risorsa umana.
Questa osservazione impone dunque che, sia a livello di politiche economiche che di singola impresa, ad un’economia del brevissimo periodo si sostituisca una visione economica di lunga durata, la quale però richiede una nuova riflessione sul senso stesso dell’economia e del fare impresa, e soprattutto dei suoi fini. Questo è richiesto, dice Benedetto XVI, dallo stato di salute ecologica del pianeta, e dallo stato di crisi culturale e morale dell’uomo. E’ dunque diventata una questione antropologica.

Solidarietà e sussidiarietà sono, come abbiamo visto, i due principi cardine della dottrina sociale, ma è decisivo che rimangano strettamente connessi, perché la solidarietà senza la sussidiarietà scade nel particolarismo sociale e, viceversa, la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno (Caritas in Veritate, n. 58).
Per fare una prima sintesi di questi principi applicati al tema di questa sera, ovvero etica, impresa e management, vogliamo richiamare due passi importanti della Caritas in Veritate in cui questi argomenti vengono affrontati in maniera specifica.
Il Servo di Dio Giovanni Paolo II con la Centesimus annus aveva indicato nella società civile il settore in cui il no profit poteva più propriamente esprimere l’economia della gratuità e della fraternità. Ma con questo non voleva intendere che il mercato e lo Stato non potessero fare altrettanto!

Oggi Benedetto XVI ci dice che:

  • innanzitutto serve un mercato nel quale possano liberamente operare in condizioni di pari opportunità imprese che perseguono fini istituzionali diversi: private, pubbliche e organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali affinchè, ed è questo il punto importante, dal loro reciproco confronto si attui una sorta di ibridazione dei comportamenti di impresa, e dunque una “civilizzazione dell’economia”, per andare oltre la logica del puro scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso (Caritas in Veritate, n.38).
  • successivamente, là dove dice che l’economia per funzionare ha bisogno di un’ ‹‹etica amica della persona›› (Caritas in Veritate, n. 45), rileva che tra imprese profit e imprese no profit è andata emergendo un’ampia categoria di imprese tradizionali che non escludono il profitto ma lo considerano strumento per realizzare finalità umane e sociali nel mercato e nella società.

Per concludere (e per riassumere) molto semplicemente: la vita economica ha bisogno di opere che rechino impresso lo spirito del dono.

Ultimo post dal blog precisalente

20.12.10 - LA DOMANDA SBAGLIATA: il futuro oltre la povertà > leggi tutto

Ricerca nel sito

Iscrizione alla newsletter

Nome:
Cognome:
E-mail: